Sentenza n. 182 del 2023

SENTENZA N. 182

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale promosso dal Tribunale ordinario di Avellino, sezione seconda penale, in composizione monocratica, nel procedimento a carico di A. P., con ordinanza del 21 ottobre 2022, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 24 maggio 2023.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 luglio 2023 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 17 luglio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 21 ottobre 2022 (reg. ord. n. 147 del 2022), il Tribunale ordinario di Avellino, sezione seconda penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.

1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di un ginecologo in servizio presso una clinica privata, imputato del reato di cui all’art. 590-sexies del codice penale, in relazione all’art. 590 del medesimo codice, per aver cagionato, per colpa, nell’assistere una partoriente durante il travaglio, lesioni personali al neonato. All’imputato si addebita, in particolare, di aver omesso di anticipare il parto, nonostante fossero presenti segni di sofferenza del feto che, secondo le linee guida in materia e le buone pratiche clinico-assistenziali, avrebbero imposto tale intervento, provocando in questo modo al neonato danni cerebrali.

Nel processo si sono costituiti come parti civili i genitori di quest’ultimo, sia in proprio, sia quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore, i quali hanno chiesto, da un lato, la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni conseguenti alla ritardata esecuzione delle operazioni di parto cesareo; dall’altro, la citazione in giudizio, quale responsabile civile, della clinica privata presso la quale l’imputato prestava la sua attività, come dipendente, all’epoca dei fatti.

A fronte di ciò, il difensore dell’imputato ha chiesto di essere autorizzato a citare in giudizio la società di assicurazioni con la quale il suo assistito ha stipulato una polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall’esercizio della professione medica.

1.2.– Ad avviso del rimettente, l’istanza del difensore dell’imputato dovrebbe essere, allo stato, respinta. Il censurato art. 83 cod. proc. pen. prevede, infatti, che il responsabile civile per il fatto dell’imputato possa essere citato nel processo penale solo a richiesta della parte civile, ovvero del pubblico ministero, nel caso previsto dall’art. 77, comma 4, cod. proc. pen.

Stante il chiaro tenore letterale della norma, essa non sarebbe suscettibile di interpretazione estensiva: fuori dai casi specifici in riferimento ai quali l’art. 83 cod. proc. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, non si rinverrebbero in giurisprudenza casi di autorizzazione alla citazione del responsabile civile su istanza dell’imputato. Non sarebbe, inoltre, possibile applicare in via analogica il principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 112 del 1998: gli effetti delle pronunce dichiarative dell’illegittimità costituzionale non potrebbero essere infatti estesi, sulla base degli argomenti esposti in motivazione, a previsioni diverse da quelle indicate nel dispositivo di tali pronunce; ciò, tanto più in una materia, come quella in esame, nella quale viene richiesto «particolare rigore» nel valutare l’ingresso nel processo penale di parti non necessarie (è citata la sentenza di questa Corte n. 34 del 2018).

1.3.– Esclusa, quindi, la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, il Tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui – nei casi di responsabilità civile derivante dallo svolgimento di attività sanitaria per la quale è previsto dalla legge n. 24 del 2017 l’obbligo di assicurazione a carico del professionista – non consente che l’assicuratore sia citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.

Le questioni sarebbero rilevanti poiché, al fine di pronunciarsi sull’istanza dell’imputato, il rimettente dovrebbe fare applicazione della norma censurata, la quale – per quanto detto – non permetterebbe di accogliere la richiesta, con la conseguenza che, ove fosse accertata la responsabilità penale dell’imputato, la mancata partecipazione al processo della sua compagnia assicurativa impedirebbe di estendere ad essa la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili. Ciò sarebbe fonte di pregiudizio per l’imputato, ancor più evidente qualora fosse concessa alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva. Il professionista, nonostante abbia stipulato una polizza assicurativa volta a coprire i rischi derivanti dalla responsabilità civile verso terzi, si troverebbe, infatti, costretto a pagare la provvisionale per non esporsi a un’esecuzione forzata, sempre che disponga di liquidità sufficienti; altrimenti, dovrebbe subire l’esecuzione, con le conseguenze negative che essa comporta, in termini sia patrimoniali, sia di immagine. Egli dovrebbe attendere quindi i tempi di un autonomo giudizio civile, per ottenere dalla compagnia assicurativa il rimborso delle somme versate.

Tali inconvenienti verrebbero invece evitati se le questioni fossero accolte.

1.4.– Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che l’art. 83 cod. proc. pen. è già stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte nella parte in cui non prevede che l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato, con riferimento a due specifiche ipotesi di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile verso terzi: quella in materia di circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, recante «Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti» (sentenza n. 112 del 1998), e quella in materia di caccia, prevista dall’art. 12, comma 8, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (sentenza n. 159 del 2022).

Nella prima delle due pronunce – osserva il giudice a quo – la declaratoria di illegittimità costituzionale si è basata sul fatto che la legge n. 990 del 1969 prevedeva, da un lato, il diritto del danneggiato di agire per il risarcimento del danno direttamente nei confronti dell’assicuratore del danneggiante (art. 18); dall’altro, il litisconsorzio necessario dell’impresa di assicurazione e del responsabile del danno nel giudizio promosso dal danneggiato contro la prima (art. 23). La pronuncia più recente ha valorizzato, per converso, soprattutto la previsione dell’azione diretta della persona danneggiata dall’attività venatoria nei confronti dell’assicuratore del cacciatore (art. 12, comma 10, della legge n. 157 del 1992).

In ultima analisi, il dato dirimente che ha indotto questa Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale, in parte qua, dell’art. 83 cod. proc. pen. sarebbe rappresentato dall’attribuzione al danneggiato del diritto di far valere direttamente le proprie ragioni nei confronti dell’impresa assicuratrice. Ne costituirebbe conferma il fatto che, con riferimento ad altra ipotesi di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile, non accompagnata dalla previsione dell’azione diretta – l’assicurazione richiesta ai notai – analoghi dubbi di legittimità costituzionale sono stati ritenuti non fondati (sentenza n. 34 del 2018).

In effetti, sarebbe proprio il diritto del danneggiato di agire direttamente contro la compagnia assicurativa a far sì che quest’ultima, a seguito della sua chiamata nel processo su richiesta dell’imputato, assuma dal punto di vista processuale, oltre che sostanziale, la veste giuridica di soggetto civilmente responsabile per il fatto dell’imputato ai sensi dell’art. 185 cod. pen., suscettibile di venir condannato, in solido con quest’ultimo, al risarcimento dei danni arrecati alle parti civili.

1.5.– Ciò premesso, il rimettente reputa che il caso di cui si discute nel giudizio a quo sia «del tutto sovrapponibile» a quello dell’assicurazione obbligatoria in materia di circolazione stradale, esaminato dalla sentenza n. 112 del 1998.

Anche con riguardo all’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, l’art. 12 della legge n. 24 del 2017 avrebbe previsto, sia l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa che presta la copertura assicurativa al professionista, sia il litisconsorzio necessario di tali due soggetti nel giudizio promosso dal danneggiato contro la compagnia assicurativa.

La norma censurata si porrebbe conseguentemente in contrasto, in parte qua, con l’art. 3, primo comma, Cost., generando una ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato esercente l’attività medico-sanitaria, assoggettato all’azione di risarcimento del danno nel processo penale, e il professionista convenuto con la stessa azione in sede civile, al quale è pacificamente riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore, ai sensi dell’art. 1917 del codice civile.

Sarebbe violato, altresì, l’art. 24 Cost., in quanto la norma censurata comprimerebbe irragionevolmente le facoltà processuali dell’imputato attinto in sede penale dall’azione risarcitoria, privandolo del diritto di difendersi nelle forme e con le garanzie che la normativa civilistica stabilisce per il convenuto con la medesima azione in sede civile.

2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

2.1.– A parere dell’Avvocatura generale, la ricostruzione della disciplina degli obblighi di assicurazione per la responsabilità civile in materia sanitaria che il giudice a quo pone a fondamento delle sue censure non sarebbe completa, e neppure corretta.

Dalla lettura coordinata degli artt. 10 e 12 della legge n. 24 del 2017, emergerebbe, infatti, che tale legge ha previsto, bensì, l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, ma solo in esito all’emanazione dei decreti ministeriali di attuazione, allo stato non ancora emessi per intero, mancando gli ultimi due decreti recanti disposizioni di dettaglio sui requisiti delle polizze da stipulare con le compagnie assicurative.

L’azione diretta è prevista, in ogni caso, solo nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria e di quella del sanitario che operi come libero professionista (art. 12, comma 1, in relazione all’art. 10, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017). Per l’esercente la professione sanitaria inserito in una struttura quale prestatore d’opera, l’obbligo di assicurazione, stabilito dal comma 3 dell’art. 10, sarebbe finalizzato invece unicamente a garantire efficacia alle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui agli artt. 9 e 12, comma 3, della medesima legge, risultando perciò non idoneo a fondare – diversamente che negli altri casi – un’azione diretta del danneggiato contro la compagnia assicurativa.

Nell’affermare che nel caso sottoposto al suo esame si verterebbe in una ipotesi di esperibilità dell’azione diretta da parte del danneggiato e che sussisterebbe, altresì, in sede civilistica, il litisconsorzio necessario tra l’assicuratore e il responsabile del danno, il giudice a quo avrebbe, dunque, trascurato il fatto che l’azione diretta prevista dalla legge n. 24 del 2017 non è ancora operante, e che essa non riguarderebbe, comunque sia, l’imputato nel giudizio principale, il quale è un medico dipendente di una struttura sanitaria (trattandosi di ginecologo in servizio presso una clinica).

In ogni caso, poi, anche a voler opinare diversamente, l’azione sarebbe proponibile in sede civile solo dopo il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 8 della legge n. 24 del 2017.

2.2.– Tali rilievi dimostrerebbero, altresì, la non fondatezza delle questioni in riferimento alla giurisprudenza di questa Corte richiamata dallo stesso rimettente.

Non vi sarebbe, infatti, alcuna violazione dell’art. 3 Cost. in relazione alle fattispecie di assicurazione obbligatoria scrutinate dalle sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022, dato che in tali fattispecie era prevista dalla legge l’azione diretta, mancante invece nel caso oggi in esame, con conseguente difetto di omogeneità delle ipotesi poste a raffronto.

Neppure sarebbe ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 24 Cost., posto che non apparirebbe affatto irrazionale prevedere, nel caso in questione, una limitazione all’accesso di soggetti terzi nel processo penale, sia al fine di assicurarne una ragionevole durata, in ossequio al principio costituzionale del giusto processo e agli obblighi internazionali assunti dall’Italia, sia in considerazione del fatto che il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto a pena di inammissibilità della domanda civilistica, non potrebbe essere esperito in sede penale.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Avellino, sezione seconda penale, in composizione monocratica, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista a carico degli esercenti la professione sanitaria dalla legge n. 24 del 2017, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.

Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe, in parte qua, l’art. 3, primo comma, Cost., determinando una ingiustificata disparità di trattamento fra l’imputato, contro il quale è proposta azione di risarcimento del danno in sede penale, e il convenuto con la medesima azione in sede civile, al quale è riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore.

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 Cost., in quanto l’imputato assoggettato all’azione risarcitoria verrebbe privato del diritto di difendersi in sede penale con gli stessi strumenti accordati al convenuto in sede civile.

2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento da parte del giudice a quo.

L’eccezione è fondata.

3.– Con le questioni sollevate, il Tribunale rimettente chiede a questa Corte di replicare, in riferimento agli obblighi assicurativi posti a carico degli esercenti le professioni sanitarie dalla legge n. 24 del 2017, le declaratorie di illegittimità costituzionale parziale dell’art. 83 cod. proc. pen. pronunciate con le sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022. Queste ultime hanno dichiarato costituzionalmente illegittima la norma censurata nella parte in cui – prevedendo che il responsabile civile possa essere citato nel processo penale solo a richiesta della parte civile o, eccezionalmente, del pubblico ministero, quando eserciti l’azione civile nell’interesse di persone incapaci – non consentiva all’imputato di chiamare in giudizio il proprio assicuratore, in due ipotesi di assicurazione obbligatoria ex lege per la responsabilità civile verso terzi: rispettivamente, quella in materia di circolazione dei veicoli e dei natanti, prevista dalla legge n. 990 del 1969, e quella in materia di esercizio dell’attività venatoria, prevista dall’art. 12, comma 8, della legge n. 157 del 1992.

Secondo il giudice a quo, la fattispecie oggi in esame sarebbe «del tutto sovrapponibile» a quella dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile automobilistica, oggetto della sentenza n. 112 del 1998. Anche in rapporto all’assicurazione obbligatoria degli esercenti la professione sanitaria sussisterebbero, infatti – ad avviso del rimettente –, i due elementi sui quali la citata sentenza ha basato la declaratoria di illegittimità costituzionale, in quanto idonei a qualificare l’assicuratore come responsabile civile, nei sensi indicati dall’art. 185, secondo comma, cod. pen. (soggetto tenuto per legge a risarcire il danno causato dal reato, in solido con l’imputato), e a rendere, con ciò, ingiustificata la negazione all’imputato della facoltà di chiamarlo in giudizio, riconosciutagli ove l’azione risarcitoria del danneggiato fosse promossa in sede civile: elementi consistenti nella previsione, sia del diritto del danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione, sia del litisconsorzio necessario di tale impresa e del responsabile del danno nel giudizio promosso dal danneggiato contro la prima.

4.– Nell’esprimere, in termini generali e indifferenziati, il convincimento ora ricordato, il giudice a quo non tiene conto, tuttavia, della complessa articolazione degli obblighi assicurativi delineati dalla legge n. 24 del 2017, omettendo di incasellare in essa la fattispecie concreta di cui si discute nel giudizio principale.

4.1.– A monte della disciplina di tali obblighi stanno le previsioni della stessa legge n. 24 del 2017 concernenti la natura della responsabilità civile connessa a prestazioni sanitarie.

Limitandosi ai soli aspetti che rilevano in questa sede, la legge stabilisce che le strutture sanitarie e sociosanitarie (inde, per brevità, «strutture sanitarie») pubbliche o private che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalgono dell’opera di esercenti la professione sanitaria (anche se scelti dal paziente e non dipendenti delle strutture stesse), rispondono dei danni provocati dalle loro condotte ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cod. civ., ossia a titolo di responsabilità contrattuale (dunque, con termine di prescrizione decennale e maggiori oneri probatori a carico della struttura) (art. 7, comma 1).

Di contro, l’esercente la professione sanitaria che opera nell’ambito di una struttura, e che non abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ossia a titolo di responsabilità extracontrattuale (dunque, con termine di prescrizione quinquennale e minori oneri probatori) (art. 7, comma 3). Si è voluta, in tal modo, alleggerire la posizione del medico cosiddetto “strutturato”, sottraendolo alle conseguenze – considerate eccessivamente gravose – della responsabilità da inadempimento contrattuale, precedentemente ipotizzata nei suoi confronti dall’orientamento giurisprudenziale favorevole alla teoria del cosiddetto “contatto sociale”.

La struttura sanitaria che abbia risarcito il danno provocato dal medico può, d’altro canto, esercitare azione di rivalsa nei confronti di quest’ultimo, ma solo entro precisi limiti. La rivalsa è ammessa, infatti, unicamente in caso di dolo o colpa grave e per un importo non superiore, nel caso di colpa grave, al triplo del valore maggiore del reddito professionale conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo (art. 9, commi 1 e 6). Limiti analoghi sono previsti anche in relazione alla responsabilità amministrativa azionata dal pubblico ministero presso la Corte dei conti, nel caso di medico che operi nell’ambito di una struttura sanitaria pubblica (art. 9, comma 5).

4.2.– È su questa trama che si innestano gli obblighi assicurativi previsti dall’art. 10 della legge n. 24 del 2017.

La disposizione prende in considerazione distintamente tre categorie di soggetti: a) le strutture sanitarie; b) i medici liberi professionisti; c) i medici “strutturati”.

Quanto alle prime, è fatto obbligo alle strutture sanitarie pubbliche e private di munirsi di polizze assicurative, o di adottare «altre analoghe misure», a copertura di due classi di rischi.

Esse debbono assicurarsi, anzitutto, per la responsabilità civile verso terzi e prestatori d’opera, anche per i danni causati dal personale: in altre parole, per la responsabilità civile derivante, sia da fatto proprio (ad esempio, carenze organizzative), sia da fatto altrui di cui esse debbano rispondere (condotte dei prestatori d’opera) (art. 10, comma 1, primo e secondo periodo).

Le strutture sanitarie hanno, però, anche l’obbligo di coprire con polizze assicurative la responsabilità civile del personale medico di cui esse si avvalgono, per l’ipotesi in cui questo sia chiamato a rispondere in proprio del danno, a titolo di illecito aquiliano (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3).

Dunque, mentre il primo tipo di rischio forma oggetto di un’assicurazione per conto proprio, rispetto al secondo si è al cospetto di una assicurazione per conto altrui, secondo lo schema dell’art. 1891 cod. civ., nella quale la struttura sanitaria assume la veste di contraente e il medico quella di assicurato. La logica di tale regime è intuibile: nel caso del medico “strutturato”, si vuole che i costi dell’assicurazione – anche per quanto attiene alla responsabilità extracontrattuale del medesimo verso il paziente – restino a carico della struttura sanitaria.

Per converso, rispetto ai medici che operino come liberi professionisti la legge lascia fermo l’obbligo di assicurazione, a tutela del cliente, già stabilito da disposizioni previgenti (art. 10, comma 2). I medici liberi professionisti debbono, dunque, assicurarsi autonomamente: si tratta, infatti, di soggetti che governano personalmente e in modo autonomo il rischio, non essendo inseriti in una organizzazione complessa eterodiretta.

Rimane da dire della categoria dei medici “strutturati”. Costoro non hanno alcun obbligo di assicurazione della propria responsabilità civile verso i pazienti: tale responsabilità deve essere, infatti, coperta – come si è visto – dall’assicurazione (o analoga misura) imposta alla struttura sanitaria per cui operano.

L’obbligo assicurativo dei medici “strutturati” è di diverso ordine. Essi debbono stipulare, cioè, «con oneri a proprio carico», una polizza di assicurazione per colpa grave «[a]l fine di garantire efficacia» all’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa promossa nei loro confronti, rispettivamente, dalla struttura sanitaria di appartenenza o dal pubblico ministero presso la Corte dei conti, nonché all’azione di rivalsa accordata all’assicuratore che, convenuto con azione diretta dal danneggiato, abbia dovuto risarcire un danno del quale non avrebbe dovuto rispondere in base alle clausole contrattuali, stante l’inopponibilità delle stesse all’attore ai sensi dell’art. 12, comma 2, della stessa legge n. 24 del 2017 (art. 10, comma 3, in relazione agli artt. 9 e 12, comma 3).

4.3.– Analogamente alla normativa sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica, la legge n. 24 del 2017 consente, in effetti, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore (prevedendo, altresì, che nel relativo giudizio sia litisconsorte necessario il responsabile del danno), ma ciò solo quando si tratti dell’impresa che assicura la struttura sanitaria o il medico libero professionista (art. 12, commi 1 e 4).

L’azione diretta non è prevista, invece, nei confronti dell’assicuratore obbligatorio del medico “strutturato”, per l’ovvia ragione che la polizza stipulata con quest’ultimo copre debiti del medico legati all’esercizio di azioni – quelle di rivalsa e di responsabilità amministrativa – che si collocano “a valle” dell’esperimento (vittorioso) dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato, il quale non avrebbe, pertanto, alcun titolo per agire nei confronti dell’assicuratore del medico “strutturato”.

L’operatività delle disposizioni sull’azione diretta del danneggiato è, inoltre, subordinata all’entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’art. 10, comma 6, chiamato a stabilire i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie (art. 12, comma 6): decreto allo stato non ancora emanato, malgrado il termine a tal fine previsto (centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 24 del 2017) sia da tempo spirato.

5.– Il rimettente ha omesso di confrontarsi con tale frastagliata disciplina e di rapportarla alla fattispecie che viene in rilievo nel giudizio a quo: omissione che si riverbera – minandone l’adeguatezza – sulla motivazione, sia in ordine alla rilevanza, sia in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

In disparte ogni considerazione circa il problema posto dall’Avvocatura dello Stato, connesso alla mancata integrale emanazione dei decreti attuativi della nuova disciplina e ai suoi riflessi sul momento di operatività dell’azione diretta del danneggiato, v’è da rilevare come i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 83 cod. proc. pen., che il rimettente prospetta in modo indistinto con riguardo agli obblighi assicurativi enunciati dalla legge n. 24 del 2017, vadano, di necessità, diversamente calibrati, secondo che ad assumere la veste di imputato sia un medico libero professionista, ovvero un medico “strutturato”.

Ad avviso del giudice a quo, sarebbe costituzionalmente inaccettabile che l’imputato non possa chiamare nel processo penale l’assicuratore che, in forza di un contratto stipulato in ossequio ai suddetti obblighi, dovrebbe tenerlo indenne dalla pretesa risarcitoria del danneggiato costituitosi parte civile, con il risultato di privare l’imputato stesso di una facoltà che gli competerebbe se quella pretesa fosse fatta valere in sede civile.

Il rimettente non tiene conto, tuttavia, della diversa posizione in cui si trovano, a questo riguardo, il medico libero professionista e il medico “strutturato”.

Nel primo caso, l’assicuratore tenuto alla manleva – e che, quindi, nella prospettiva del giudice a quo, dovrebbe poter essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato – si identifica nell’impresa di assicurazione con cui il professionista stesso ha stipulato la polizza assicurativa a copertura dei rischi derivanti dalla sua attività, ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge n. 24 del 2017.

Diversamente, quando si discuta di un medico “strutturato”, quello di cui ci si dovrebbe dolere – in base al ragionamento del rimettente – è che l’imputato non sia abilitato a chiamare in giudizio l’impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alla struttura sanitaria di appartenenza, a norma del comma 1 dello stesso art. 10: copertura che deve abbracciare anche la responsabilità extracontrattuale personale degli esercenti la professione sanitaria che operano nell’ambito della struttura stessa. Come già posto in evidenza, infatti, rispetto a questo rischio si è al cospetto di una assicurazione per conto altrui, nella quale la struttura sanitaria assume la veste di contraente e il medico quella di assicurato, abilitato, come tale, a far valere i diritti derivanti dal contratto ai sensi dell’art. 1891, secondo comma, cod. civ., ivi compreso quello di manleva dalle pretese della parte civile.

In nessun caso, per contro, i dubbi di violazione degli artt. 3, primo comma, e 24 Cost. adombrati dal rimettente potrebbero coinvolgere l’assicurazione obbligatoria prevista a carico del medico “strutturato” dal comma 3 dell’art. 10 della legge n. 24 del 2017. Rispetto a tale assicurazione, una disparità di trattamento, sul piano delle facoltà difensive, fra l’imputato nei cui confronti è esercitata l’azione civile risarcitoria nel processo penale e il convenuto con la stessa azione in sede civile resta radicalmente esclusa. Il medico “strutturato” convenuto in sede civile dal paziente non potrebbe, infatti, neppure in quella sede chiamare in giudizio l’assicuratore obbligato a tenerlo indenne dall’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa. Tali azioni, come già osservato, si collocano “a valle” dell’azione risarcitoria del danneggiato (oltre ad avere presupposti autonomi e più restrittivi di questa): solo se e quando esse fossero concretamente esercitate, potrà emergere l’interesse alla chiamata in giudizio del relativo assicuratore. Le azioni in parola, peraltro, non potranno mai essere esercitate in sede penale, per la dirimente ragione che, quando pure la struttura sanitaria in cui l’imputato opera fosse ivi citata come responsabile civile (ad iniziativa del danneggiato costituitosi parte civile), essa non sarebbe legittimata a promuovere alcuna azione civile in quel processo, né lo sarebbe il pubblico ministero presso la Corte dei conti, quanto all’azione di responsabilità amministrativa, nel caso di struttura sanitaria pubblica.

6.– Orbene, dall’ordinanza di rimessione emerge che l’imputato nel giudizio a quo – cui si addebita di aver causato, per colpa, lesioni personali a un neonato in sede di assistenza della partoriente durante il travaglio – è un medico “strutturato”, trattandosi, in base allo stesso capo di imputazione, di un ginecologo che, al momento del fatto, operava come dipendente di una clinica privata.

Il rimettente riferisce altresì che, a seguito della costituzione come parti civili dei genitori del neonato (e della loro richiesta di citazione della clinica come responsabile civile), il difensore dell’imputato ha chiesto, a sua volta, di essere autorizzato a citare in giudizio quale responsabile civile, non già l’assicuratore della struttura, ma «la società assicurativa […] con la quale [l’imputato stesso] ha stipulato apposita polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall’esercizio della professione medica».

Il giudice a quo non specifica, peraltro, quali rischi copra tale polizza e come essa si connetta agli obblighi assicurativi stabiliti dalla legge n. 24 del 2017.

Ove la polizza in questione corrispondesse a quella che il comma 3 dell’art. 10 della citata legge fa obbligo di stipulare al medico “strutturato”, varrebbe quanto si è osservato poco sopra. In nessun caso l’imputato potrebbe pretendere di citare nel processo penale una impresa di assicurazione obbligata a tenerlo indenne dalle conseguenze di un’azione civile, quale quella di rivalsa della struttura sanitaria, che non è stata esercitata, e che mai potrebbe esserlo nell’ambito di quel processo.

Se invece si trattasse della polizza assicurativa che il comma 2 dello stesso art. 10 fa obbligo di stipulare ai medici liberi professionisti – ciò, supponendo che l’imputato nel giudizio a quo eserciti la propria attività anche in tale veste – le questioni sarebbero evidentemente prive di rilevanza, dato che nella specie l’imputato è stato chiamato a risarcire danni provocati operando quale medico “strutturato”.

Ove infine – in via d’ipotesi – si trattasse di una polizza stipulata dall’imputato sua sponte a copertura della responsabilità civile verso terzi derivante dallo svolgimento della sua attività come dipendente, si sarebbe fuori dagli obblighi assicurativi stabiliti dalla legge n. 24 del 2017, la quale non impone affatto al medico “strutturato” di assicurarsi contro tale rischio. Si tratterebbe allora di una assicurazione meramente facoltativa: il che renderebbe le censure del rimettente – incentrate sul parallelismo con le ipotesi di assicurazione obbligatoria prese in esame dalle sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022 – non pertinenti alla fattispecie.

7.– In conclusione, dunque, l’inadeguata ricostruzione della cornice normativa di riferimento compromette l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente, sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza, ciò che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rende inammissibili le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 257 del 2022, n. 194, n. 61 e n. 15 del 2021, n. 264 del 2020).

Ben potrebbe, comunque sia, il legislatore intervenire a disciplinare novamente la materia.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Avellino, sezione seconda penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2023